venerdì, ottobre 27, 2006

il passaggio di registro

Abbiamo due passaggi di registro per ogni registro vocale: fra la zona dei bassi e quella dei medi e fra la zona dei medi e quella degli acuti. Solo la voce di tenore tende spesso a costruire un solo passaggio, tra la zona delle note medio-basse e gli acuti. Il discorso cambia per il tenore drammatico, il quale conserva, al pari delle altre voci, entrambe i passaggi. Va detto inoltre che l’accesso a quella zona della voce che si trova oltre il Do 4 (Do 3 per i tenori), rende al cantante la sensazione di trovarsi davanti ad un altro passaggio (zona sovracuta).

La questione del “passaggio” di registro è stata, nell'ambito del canto lirico, sempre abbastanza spinosa. C'è chi dice infatti, che il passaggio non esiste, altri che lo ignorano e infine alcuni che ne ammettono l’esistenza ma negano la possibilità, da parte del cantante, di una sua gestione consapevole.
In un certo senso hanno tutti ragione. Il fatto è che il passaggio di registro è condizionato dall'azione del fiato e siccome questo dev'essere più naturale possibile (nel senso che “la volontà non deve mai interferire con il suo normale funzionamento” – Alfredo Morelli), di conseguenza viene da pensare che anche il cosiddetto passaggio, che dal fiato dipende, sia vissuto allo stesso modo, cioè, senza un intervento diretto della volontà.

Lo sviluppo coordinato dell’azione del fiato, che si amplifica solo con uno studio graduale, produce una “sensibilità propriocettiva” (Alfred Tomatis), che è in grado di regolare la pressione aerea e quindi i relativi passaggi di registro che, come abbiamo detto, da questa dipendono.
Il “passaggio” è sempre relativo a un processo di coinvolgimento delle aree (o zone) di risonanza, le quali sono provviste di tre qualità di “eco”: toraciche (o di petto), bucco-nasali (o facciali), e cervicali (o di testa).
Alcuni cantanti, col variare della tessitura, avvertono con grande facilità la sensazione rilasciata dal passaggio della voce da un registro all’altro, altri invece cantano senza avvertirne la presenza.
Tanto per chiarire: la moderna foniatria ha provato l’esistenza di un “passaggio” della voce in una certa zona della tessitura. Quindi, la questione vera è se esista o meno una consapevolezza da parte del cantante e se poi questi sia in grado di gestirla tecnicamente, condizionandone l’operato.
Per noi ciò che conta è, prima di tutto, l'appoggio sul fiato, visto che è questo a determinare il corretto funzionamento della “pressione” aerea. A seconda di ciò che la tessitura richiede, il fiato andrà ad adagiarsi nelle opportune cavità, plasmandosi sulla morfologia presente in ogni cantante.
Il giusto appoggio sul fiato, dunque, ci permette di avvertire quel “gruppo” di note che si trova all'interno di una zona di risonanza (cavità), rendendoci chiara la sensazione di dove sono e quale natura rivelano, molto più di quanto possa fare l’idea (concetto) di passaggio.
In sostanza: il cantante non dovrebbe cercare il passaggio pensando di poterlo così amministrare come un meccanismo d’accesso alle note superiori, ma abbracciare semplicemente (e non è cosa da poco) la sensazione di un ambiente “risonante” (cavità), reso in primis dalle sensazioni propriocettive. Ciò gli permetterà di agire su una sostanza prima ancora che su un concetto, rendendo l’intendimento del “passaggio” organico, anziché dialettico.

domenica, maggio 28, 2006

i risuonatori

Escludendo la cavità laringea, sede del suono primario, le cavità di risonanza (i risuonatori) sono:
• la faringe, che insieme alla lingua, permette con i suoi “movimenti adattivi” la costituzione dei suoni vocalici
• le cavità ossee poste nel cranio, che, ospitando i suoni portati dal fiato, fungono da moltiplicatori degli armonici. L’effetto è quello di amplificare la sostanza timbrica della voce, esaltandone il colore naturale.
• la trachea che, con la sua cartilaginea cavità “tubolare” rivestita di mucosa, ospita e produce un altro tipo di risonanze: quelle che volgono al basso, quelle cioè che danno vita ai caldi e densi armonici tipici delle voci di registro medio-basso.
Molto importante è anche la postura assunta durante il coinvolgimento psico-motorio dell’atto cantato: facendo arretrare la posizione del foro occipitale sino a raggiungere una sorta di “asse unica” con la colonna vertebrale, la laringe poggerà a ridosso di questa, facendola vibrare durante la fonazione per simpatia: si produce così quella che Alfred Tomatis ama definire (nel suo famoso libro “L’orecchio e la voce”) la “risonanza ossea”.
Una attenzione alla verticalizzazione dell’asse corporeo è dunque fondamentale, poichè ci permette di conseguire al meglio tutte quelle particolari sensazioni (propriocettive), che sono fondamentali per il riconoscimento e controllo del proprio operato vocale.
Quindi, durante l’atto cantato è bene “pensarsi”, o immaginarsi, sempre nella schiena, perché è qui che l’energia diventa tutt’uno con l’azione.

giovedì, aprile 27, 2006

il diaframma

Il muscolo diaframmatico è il più potente ed efficace strumento della respirazione profonda e naturale. Ha la capacità di abbassarsi nell’inspirazione, mentre il suo percorso di riassetto, nell’espirazione, viene dato dalla sua elastica qualità e non da attività indotta.

Questo aspetto funzionale-operativo del diaframma ci pone davanti ad una caratteristica fondamentale della fenomenologia vocale-canora: non cantiamo sulla fuoriuscita del fiato espiratorio ma sul lento dosaggio di questo, gestito da un abbandono graduato dei muscoli, che lo avevano inizialmente abbassato nell’atto inspiratorio.

In pratica la dimensione della respirazione nel processo vocale del canto, è diversa sia da quella coinvolta nella parola che da quella applicata nella sua normale funzione quotidiana. La respirazione coinvolta nell’atto cantato, infatti, tende ad uno stato apneico più che ad uno espiratorio; il fiato viene tenuto o trattenuto, sull’esigenza dei vari passaggi vocali e le respirazioni che si succedono sono subordinate, il più delle volte, semplicemente alla resistenza mantenuta nella frase musicale precedente.

Nel canto, comunque, il movimento respiratorio di base va ritenuto spontaneo, istintivo, perché quando interviene la volontà a regolarne l’atto, ne consegue sempre e comunque una alterazione del suo naturale funzionamento.